Nessun prodotto
Published : 21/05/2021 16:01:55
Categories : Libri
Romanzo storico, cronaca di viaggio, romanzo di formazione/picaresco o insieme dei tre generi?
È, questa, una legittima domanda che ci si pone volendo collocare "L’arcano", straordinario romanzo del 1983 scritto dall’argentino Juan José Saer, in un’appropriata categoria letteraria. Una domanda resa legittima tanto dalle tematiche specifiche affrontate nell’opera quanto dalle modalità di riportarle, nonché dalle numerose riflessioni di ordine filosofico e antropologico presenti nel testo.
Individuando allora gli elementi costitutivi dei generi letterari sopra richiamati (romanzo storico, cronaca di viaggio e romanzo di formazione/picaresco), cercheremo in questo articolo di fare chiarezza sulla natura letteraria de "L’arcano", attraverso un’analisi dei tre modelli narrativi che ci porterà a rintracciarne la presenza nel romanzo.
Prima di tutto de "L’arcano" si può dire questo: è una biografia narrata in prima persona dal protagonista, di cui non conosciamo il nome.
Siamo nel Cinquecento. Un uomo anziano racconta le proprie vicende vissute fin dalla giovinezza, quando orfano e senza fissa dimora s’imbarca come mozzo su una nave spagnola verso le Indie, abbandonando l’Europa in cerca di ricchezze.
Il viaggio però lo porta altrove, in un nuovo mondo in cui, insieme a una parte dell’equipaggio e al capitano della nave, entrerà in contatto con una tribù di indios antropofagi. Questi banchetteranno con gli spagnoli, decidendo di lasciare in vita solo il giovane mozzo e iniziando in tal modo una convivenza lunga dieci anni nella quale egli sarà l’unico testimone europeo della realtà incontrata oltreoceano. In seguito il giovane mozzo, diventato ormai uomo, verrà liberato e tornerà in Europa, grazie a un casuale incontro con altri spagnoli sbarcati su quelle nuove terre.
In Europa, il protagonista prosegue narrando del suo periodo di rieducazione nel vecchio mondo, per raccontarci infine come sia riuscito a crearsi da solo una propria vita. Una vita in cui tuttavia, nonostante gli anni e i chilometri di distanza, il ricordo dell’esperienza con gli indios persiste, portando il protagonista a interrogarsi sulla natura di quelle terre lontane e di quel popolo che l’aveva ospitato, sulla natura dell’incontro tra culture e civiltà.
La trama de "L’arcano", che abbiamo brevemente provato a sintetizzare, e il modo in cui sono narrate le vicende, ha portato la critica a designare l’opera come un testo costituito dall’intreccio di più generi letterari: dal romanzo storico (per il riferimento a fatti realmente accaduti nel passato), dalla cronaca di viaggio (per l’andata e il ritorno tra una sponda e l’altra dell’oceano), dal romanzo di formazione o picaresco (per il processo di crescita che segue il protagonista lungo tutto il corso delle pagine).
Avendo isolato i tre generi modello de L’arcano, proviamo allora a rintracciarne le linee all’interno del racconto.
Possiamo considerare "L’arcano" come un romanzo storico perché Saer utilizza una delle tecniche narrative di questa particolare forma letteraria: banalmente, unisce fatti reali di un’epoca passata ad altri di fantasia.
L’intreccio, come già ricordato, si sviluppa nel Sedicesimo secolo, quando gli spagnoli sono ancora in cerca di una via alternativa per raggiungere le Indie. All’inizio del romanzo ripercorriamo pertanto le vicende di una ciurma di esploratori partiti alla ricerca di ricchezze che Saer caratterizza puntualmente utilizzando sentimenti e ideali propri della società spagnola cinquecentesca.
Per costruire la figura del protagonista, l’autore s’ispira inoltre a un personaggio reale, facendogli vivere le sue stesse esperienze.
Si tratta di Francisco del Puerto, un giovane mozzo spagnolo che nel 1516 partì con l’esploratore Juan Díaz de Solís, e altri marinai, per le isole Molucche. Essi giunsero però sul territorio del fiume oggi conosciuto come Río de la Plata, trovando sulle sue sponde una tribù indigena antropofaga che uccise e divorò il capitano e parte dell’equipaggio. L’unico sopravvissuto fu Francisco, che rimase con gli indigeni per oltre dieci anni, fin quando non fu liberato.
È dunque evidente la forte analogia tra il protagonista e la figura storica di del Puerto: entrambi sono mozzi partiti per un’esplorazione verso le Indie, approdati nella terra degli indios per poi essere gli unici superstiti della spedizione a restare con la tribù indigena. E se il protagonista è evidentemente ricalcato su una figura reale, lo stesso può dirsi degli spazi: come Francisco del Puerto, anche il nostro mozzo scopre il nuovo continente navigando sul Río de la Plata, detto altresì Mar Dulce, il gigantesco corso d’acqua (oggi condiviso da Argentina e Uruguay) formato dal congiungimento dei fiumi Paraná e Uruguay.
Distinto sarà però il seguito de "L’Arcano". Saer decide infatti di aderire alla realtà storica delle vicende che l’hanno ispirato solo per una parte del racconto. Una volta tornato in Spagna, il nostro mozzo condurrà una vita ben diversa da quella di Francisco del Puerto.
Prendendo ora come riferimento i diari di bordo del Rinascimento, grazie ai quali gli esploratori europei annotarono le loro imprese, i giorni trascorsi in mare, i racconti sui popoli incontrati e le loro usanze, possiamo collegare alcune specifiche caratteristiche de L’arcano a quelle della cronaca di viaggio.
Di fatto, il narratore protagonista s’imbarca su una nave di esploratori, attraversando l’Atlantico. Divenuto l’unico superstite su un territorio ignoto, entra in contatto con un nuovo popolo. Da viaggiatore, riporta dunque al lettore, in modo dettagliato, tutto ciò che vede, pensa e vive stando tra i membri di una tribù sconosciuta, offrendo così un vero e proprio resoconto di viaggio.
Il personaggio principale diventa allora il testimone dell’esistenza degli indios e, senza mai partecipare, ne osserva in disparte le abitudini e la cultura.
Grazie alle “note” del mozzo, apprendiamo quindi del modo di vivere degli indigeni, dei bizzarri giochi sul fiume fatti dai bambini, del linguaggio incomprensibile formato da poche e ripetitive parole, degli annuali rituali orgiastici, delle leggi che regolano la tribù, delle occupazioni riservate alle donne e agli uomini. Ma, soprattutto, veniamo a conoscenza della loro usanza di mangiare carne umana, ciò che li etichetta come cannibali, ovvero appartenenti a una cultura antropofaga.
Ecco allora che la forte presenza descrittiva riferita a una cultura nuova, una cultura “altra”, attribuisce uno spiccato carattere saggistico e antropologico all’opera, un carattere che emerge dalle riflessioni del protagonista nel momento in cui osserva gli indios e quando in seguito li ricorda.
Se ne "L’arcano" si individuano le particolarità della cronaca di viaggio, si può affermare lo stesso per quel che riguarda il romanzo di formazione, e in seconda battuta, il romanzo picaresco.
Questo, infatti, condivide con il romanzo di formazione le caratteristiche costitutive del processo di formazione (appunto) del protagonista, ossia le sue vicende biografiche, i viaggi e le esperienze, e lo fa ponendo come figura centrale il picaro: un giovane di umili origini, spesso orfano, che affronta le peripezie della vita adottando espedienti di ogni tipo che non sempre trovano un lieto fine.
Confrontando il racconto di Saer con l’intreccio tipico di questo genere narrativo, appare chiaro come l’autore abbia a suo modo creato un picaro, e l’analogia è mostrata fin dall’inizio del romanzo. Di fatto, leggiamo la biografia del protagonista scritta in prima persona, la sua storia inizia dall’umile adolescenza di orfano che non sa nulla sui genitori, non ha una casa e si arrangia a vivere come può.
Altro elemento che collega "L’arcano" al romanzo picaresco è la presenza di un personaggio di grande spessore umano e influenza (in genere un padrone) che aiuta il picaro nel percorso di formazione.
Quando il nostro protagonista viene liberato dagli indios e fa ritorno, totalmente cambiato, al suo vecchio mondo, Saer introduce infatti la figura di un sacerdote, padre Quesada, che sembra ricalcare in buona parte l’immagine tipica del padrone che si prende cura del picaro. L’incontro sarà fondamentale per la “rieducazione” in Europa. Quesada “salverà” appunto il mozzo grazie alla religione, gli darà un tetto (in convento), gli insegnerà a leggere e scrivere, lo farà studiare, lo aiuterà a rifarsi una vita e a comportarsi nel giusto modo in società: in altri termini, Quesada sarà per il mozzo il padre che non ha mai avuto.
"L’arcano", grazie a questi elementi, può dunque legittimamente essere considerato un romanzo di formazione (o picaresco): al di là della presenza del padrone, esibisce infatti un concetto di esperienza come atto di crescita.
Nel processo di formazione del nostro protagonista, questi affronta tre distinte esperienze formative, e grazie ad ognuna, in modo diverso, arriva a comprendere qual è il suo posto nella società, giungendo in età adulta consapevole di essere cambiato.
Dei primi due periodi di formazione abbiamo già parlato: il primo corrisponde alla convivenza con gli indios, in cui il protagonista vive l’esperienza della scoperta perché apprende un differente stile di vita rispetto a quello europeo, e conosce una dimensione totalmente “altra” in confronto a quella che era la sua realtà.
Il secondo riguarda i sette anni vissuti con padre Quesada, periodo in cui il narratore protagonista vive l’esperienza della rinascita, dato che riscopre le sue origini, viene rieducato, riapprende come agire in Europa, si appassiona allo studio, si lega a una figura paterna. Entrambi questi periodi preparano il nostro personaggio principale ad affrontare l’ultima e decisiva prova.
Dopo la morte del sacerdote, il protagonista incontra infatti una compagnia teatrale e riesce a farne parte grazie all’educazione ricevuta da padre Quesada. Lavorerà quindi con i commedianti, mettendo poi in scena gli anni trascorsi con gli indios in una rappresentazione itinerante di successo: un’esperienza che, nel rapporto con i membri della compagnia, gli darà modo di conoscere la falsità e il carattere spregevole dell’uomo. Un’esperienza che, per la prima volta, porta il protagonista a decidere da solo come vivere la vita: diventa per l’appunto uno stampatore e tutore di due bambini, acquisendo così una sua propria identità, e dando dunque legittimo compimento al suo processo di formazione.
Carmela Piccirilli